Si parte dalle prime forme di “pratica laica”, dove la religione non ricopre alcun ruolo nel sapere scientifico, per giungere alle civiltà mesopotamiche ed egiziane, in cui i medici erano figure miste tra sciamani e sacerdoti. Qui la causa della malattia era da attribuire al “soprannaturale”, ossia una sorta di punizione dell’individuo ad opera di divinità o demoni.
Il passaggio ad una visione nettamente più laica e meno sacralizzata, avvenne grazie alla diffusione delle Teorie filosofiche naturalistiche dell’Antica Grecia, da Ippocrate di Kos, il quale introdusse un modello di scienza basato sull’esperienza e ragionamento.
Ippocrate stabiliva delle regole ben precise di osservazione del malato, al fine di giungere ad una prognosi, sulla base di regole deontologiche, legate alla professione.
Nasce dunque “l’approccio Ippocratico”, dove la malattia dell’individuo è la risultante di diversi fattori: costituzionali e/o ambientali.
Da qui l’importanza di curare partendo da una buona igiene di vita, con l’intento di ripristinare un equilibrio saltato.